Agli inizi del Cinquecento il Castiglione esalta la qualità,
nel perfetto cortigiano, dell’Arte di fare apparire la virtuosità
(ad esempio nella danza, nella scherma, nella musica etc.)
la più semplice e naturale delle azioni umane. È l’arte
del nascondere l’arte. Ma è il contemporaneo approfondimento
del Platonismo in ambito poetico e musicale che dà nuovo significato
al termine. È il “cantar senza canto”, come scrive,
ammirato, Angelo Grillo a Giulio Caccini nel 1601: “Ella
è padre di nuova maniera di musica, d’un cantar senza canto.
O più tosto d’un cantar recitativo nobile, et non popolare.
(..) È dunque invention sua questa bellissima maniera di cantare”.
È a Firenze che tutto avviene. Firenze è la città che ha riscoperto
prima, e salvato e divulgato poi, il Platonismo in Occidente.
È a Firenze che uno studioso del platonismo, Giovanni De’
Bardi, dedica un voluminoso “Discorso mandato a Giulio
Caccini sopra la musica antica, e ‘l cantar bene”. Sul
piano pratico il Bardi scrive: “Cantandosi solo, o su liuto,
o gravicembalo, o altro strumento, si puote a suo piacere
la battuta stringere, e allargare, avvenga che a lui stia
guidare la battuta à suo senno”. Caccini raccoglie il
testimone bardiano più puro nella Firenze di Ferdinando I
de’ Medici, sostenitore ammirato della novità fiorentina nell’arte
musicale. Ecco alcune espressioni del Caccini: “Quest’arte
non patisce la mediocrità”(..)“avvenga che nobile maniera
sia così appellata da me quella, che va usata, senza sottoporsi
à misura ordinata, facendo molte volte il valor delle note
la metà meno secondo i concetti delle parole, onde ne nasce
quel canto poi in sprezzatura, che si è detto”(..) Senza misura
quasi favellando in armonia con la suddetta sprezzatura”.
Ancora nel 1614 Caccini scrive: “Tre cose principalmente
si convengon sapere da chi professa di ben cantar con
affetto solo. Ciò sono lo affetto, la varietà di quello e
la sprezzatura”.
La raffinatezza tecnica del nuovo canto deriva direttamente
dal nuovo ideale culturale ed artistico che rivoluziona l’arte
musicale sul finire del sec. XVI. Ciò non riguarda solo la
vocalità. Le varie Prefazioni alle pubblicazioni
vocali si occupano anche di: a) questioni
estetiche (Prefazione alla “Euridice” di Jacopo Peri
etc.) b) considerazioni sulla semiografia per
quel che riguarda le alterazioni (Peri, Emilio del
Cavaliere, Domenico Mazzocchi, Marco da Gagliano etc.) c)
questioni armoniche circa la realizzazione del Basso
Continuo d) l’uso delle dissonanze (Peri etc.).
Che il canto di cui parla Caccini sia il vertice dell’arte
espressiva e che tra esso ed i cantori ricordati, ad esempio,
da Lodovico Zacconi (cfr. Prattica di Musica, Venezia
1592) esista un abisso, è dimostrato dalle precisazioni tecniche
presenti nella Prefazione cacciniana alle Nuove
Musiche (Firenze 1601). Ecco un esempio concernente una
Esclamazione cacciniana: “ho trovato essere maniera più
affettuosa lo intonare la voce per contrario effetto all’altro,
cioè intonare la prima voce scemandola, però che l’esclamazione,
che è mezzo più principale per muovere l’affetto: et esclamazione
altro non è, che nel lassare della voce rinforzandola alquanto.”
Le esclamazioni sono varie ma sempre legate a situazioni
psicologiche “affettuose”. Scrive Caccini “L’esclamazioni
si possono sempre usare in tutte le minime e semiminime col
punto per discendere (…) nelle semibrevi (…) harà più luogo,
il crescere e scemare della voce senza usare le esclamazioni”.
Perciò che concerne il Trillo esso si ottiene utilizzando
la stessa nota, differenziandosi così dal Gruppo che
utilizza due note.
Caccini è il primo, fra gli scrittori di problemi vocali,
che affronta con termini e con visione realistica il problema
“respirazione”. Nemico delle voci “finte”(i
Falsettisti) egli basa completamente la realizzazione
tecnica-vocale sull’uso appropriato della respirazione.
“ (…) poiché sono tanti gli effetti da usarsi per l’eccellenza
di essa arte, ne è tanto necessaria la buona voce per essi
quanto la respirazione del fiato per valersene poi, ove fa
di mestieri (…) di essa è pur necessario valersi per dare
maggiore spirito al crescere e scemar della voce, alle esclamazioni,
e tutti gli altri effetti, che abbiamo mostrati”.
Il Caccini è un caposcuola non solo a Firenze ed in Italia
ma anche in Europa: è ammirato da Père Mersenne che lo indica
come modello da imitare.
L’influsso cacciniano è enorme in tutta Italia. Sono suoi
seguaci: da Ottavio Durante a Domenico Mazzocchi, da Francesco
Severi a Marco da Gagliano, da Sigismondo D’India a Francesco
Rognoni e tanti altri.
La sprezzatura, che è legata al Platonismo e
scomparirà con la generazione geniale dei Peri, dei
Caccini, dei Monteverdi, etc., non ha niente a che vedere
con il “rubato” di cui parlano Tosi e Mancini nel Settecento.
La Sprezzatura Bardiana è predominio della parola
sul linguaggio musicale: quindi è libertà verbale in quanto
fonema e si ricollega al Melos greco più antico
in cui non esisteva uguaglianza fra una lunga
e due brevi.
Il Divino Claudio ha scritto:“porterà le pronuntie a similitudine
delle passioni dell’oratione”.
Nella Anfuso